EMOZIONE E RAGIONE ( come aiutare i nostri bimbi quando non siamo con loro)

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Emozione e ragione.

Sentimento e verità.

La visione in cui siamo immersi è quella per la quale l’emozione è ciò che deve necessariamente definire le nostre scelte.

Se la tal cosa (o relazione) mi fa sentire cose belle, allora è buona. Se la tal cosa (o relazione) non mi dà ‘‘vibrazioni positive’’, la si abbandona. Tutto funziona alla meraviglia…finché quella relazione non sei tu! O finché non ti accorgi che la cosa B che hai scelto al posto della A, non ti crea la stessa frustrazione o insoddisfazione.

Allora cosa c’è che non va?

SONO SBAGLIATO IO? SONO SBAGLIATE LE MIE EMOZIONI? DEVO ‘‘SOPPORTARE LA CROCE’’ CON PIA RASSEGNAZIONE?

Niente di tutto questo.

Tu non coincidi con l’emozione che senti (così come chi hai davanti non coincide con l’emozione che ti fa sentire. Si, lo so. Questo ti sembra impossibile da digerire quando pensi al tuo ex. Ma d’altraparte, immagino, che se il tuo ex ti dicesse quello che pensa di te sulla base delle emozioni che gli fai provare, forse non ti riconosceresti. E batteresti forte i pugni per dimostrare che sei ‘‘molto di più’’ di quello che l’altro vede!)

Non voglio neanche che tu pensi per un attimo che sono una paladina dello status quo: il cambiamento fa parte integrante della vita e della nostra crescita e se ti trovi in una situazione (o relazione) tossica, non devi indugiarvi neanche un minuto. Se sei credente, ricordati che Dio non manda nessuna croce e che siamo fatti per la gioia, non per la sofferenza perpetua!

Quello che vorrei condividere con te è la necessità di alzare lo sguardo anche per ciò che riguarda le nostre emozioni. E quelle dei nostri figli. Capire cioè che l’emozione è un segnale di allarme che è necessario decodificare poi attraverso la ragione. E’ un indizio, non una soluzione. E’ uno stimolo a interrogarci e ad andare più a fondo, non a cambiare oggetto di attenzione!

Questo vale per tutti, ma soprattutto per noi genitori single e per i nostri figli : la nostra situazione ci sottopone a stress emotivi costanti e mutevoli e imparare ad avere una matura competenza emozionale , ci aiuterà ad orientarci nelle scelte, a crescere e, come dico sempre, a scegliere non il Bene, ma il Meglio.

Diventare padroni delle emozioni è necessario per uscire dalla zona comfort.

[Approfondisco questo tema nella guida gratuita ‘‘ Più Forte di Me’’, che puoi scaricare dalla home di questo sito.]

E’ nostro preciso compito però, aiutare anche i nostri figli a gestire le proprie emozioni e aiutarli a prendere in mano sè stessi, affinchè quando non saranno con noi ( penso per esempio ai periodi di vacanze estive), siano in grado di essere consapevoli dei loro bisogni.

TI faccio un esempio: adesso che Gabriele ha quasi 7 anni, ha raggiunto la maturità necessaria (potenziale) a distaccarsi da me, cioè a non dipendere al 100% dalle mie scelte e dai miei interventi. Per molti psicoterapeuti infantili, questo è un momento cruciale in cui la figura del padre dovrebbe ‘‘imporsi’’ per effettuare il ‘‘distacco madre-figlio’’ e avviare il bambino ad un approccio più adulto della propria vita. Non sempre, nelle situazioni di monogenitorialità, c’è un approccio consapevole della paternità (o della maternità), ma, se alziamo lo sguardo, possiamo vedere l’enorme opportunità che hanno i nostri figli nel doversi rapportare per esempio alle vacanze alternate.

Si sente dire spesso che i figli dei separati crescono prima: io penso che se non li accompagniamo anche nella crescita emotiva, saranno figli che soffrono prima, ma che non crescono affatto.

Torniamo al mio settenne. L’ultima volta non se la sentiva di stare in vacanza con il padre. Dice che gli manco, mugola al telefono, gli viene da piangere. Provo a chiedergli che cosa vorrebbe che facessi per lui ( consapevolezza dei bisogni) e mi risponde che vuole che parli con suo padre. Se avessi soddisfatto il suo bisogno, avrei fatto il Bene. Ma tanto per cambiare ho provato a offrirgli il Meglio (non con una buona dose di rischio da parte di entrambi!!!)

Ho accolto la sua emozione e ho cercato con lui di capirla meglio (non stava bene col padre o era nostalgia della mamma? Era voglia di venire a casa o desiderio di sentirsi accolto nella sua fragilità?). Poi, secondo una formula che uso da anni e per le più diverse occasioni ho detto:

‘‘Mi dispiace che ti senti triste (sostegno), ma sei tu che devi parlare al tuo babbo (autonomia). Sono sicura che saprai farcela (autostima)’’

E’ stata dura, lo ammetto. C’era quella vocina malefica dentro di me che mi diceva ‘‘sei una mamma cattiva. Dovevi aiutarlo e parlare tu col padre’’. Mi sono poi guardata allo specchio, ho fatto un bel respiro e ho detto: ‘‘ No, ho scelto il meglio per Gabrele! Lui ce la farà! Supererà la sua zona di confort, farà un salto senza la mia mano, ma io sarà dall’altra parte ad aspettarlo.’’

Così è stato.

E’ passato un giorno di silenzio e poi la telefonata di suo padre: ‘‘Non capisco. Di punto in bianco Gabriele piange e mi dice che gli manchi e che vorrebbe tu fossi qui. Non capisco. Era tranquillissimo.’’

Bravo amore mio! Sapevo che ce l’avresti fatta!

Come si è conclusa quella telefonata è un’altra storia.